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Chomsky: lo scudo spaziale è un'arma di attacco

Dalle parole ai fatti

26.9.2009 - Pressenza IPA - Olivier Turquet

"Dobbiamo passare dalle parole ai fatti" dichiara Angelo Baracca nella sua prima collaborazione con Pressenza. Angelo Baracca, professore universitario, si occupa da tempo della battaglia contro le armi nucleari. E' autore di "A volte ritornano: il nucleare, la proliferazione nucleare, ieri oggi e soprattutto domani” Aderisce alla Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza.

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Pressenza, Firenze, 25/09/09
di Angelo Baracca

A Obama va il grande merito di avere finalmente riportato nell’agenda politica il problema del disarmo nucleare (anche se Putin prima di lui aveva proposto riduzioni). Io penso che Obama creda veramente in quello che dice.

Ma tra il dire e il fare ... (basta pensare a come sono naufragate le buone intenzioni sul conflitto Israele Palestina). Un Presidente degli Stati Uniti non potrà mai abdicare al compito di mantenere la supremazia mondiale degli Usa, oggi in primo luogo militare, né di ledere gli interessi del poderoso complesso militare industriale.

Per ora si tratta di parole, la cui rilevanza principale sta forse nel fatto che per la prima volta almeno dalla fine della Guerra Fredda, e dopo l’incontro con Medvedev, sono pronunciate dal Consiglio di Sicurezza, in cui siedono le potenze nucleari, con l’esclusione di Israele, India e Pakistan (e, se vogliamo, Nord Corea). Quelle potenze che 39 anni fa avevano sottoscritto l’art. 6 del Trattato di Non Proliferazione (Tnp), che impegnava ad avviare trattative in buona fede per arrivare al disarmo nucleare, ma poi hanno fatto fallire sette Conferenze di revisione.

Obama ora afferma che i trattati, e il diritto internazionale devono essere rispettati: non è poco visti gli scempi del suo predecessore. Né questa resipiscenza del Consiglio di Sicurezza sembra riflettere volontà incrollabili. In diplomazia le parole pesano, e la Francia ha preteso che l’obiettivo di un mondo libero da armi nucleari fosse sostituito con le parole “creare le condizioni” per tale obiettivo.

D’altra parte tanto Sarkozy quanto Gordon Brown hanno subito ribadito la loro preoccupazione che le azioni intraprese contro Iran e Corea del Nord non siano sufficienti: porre la priorità su questi problemi (reali, ma non dirimenti) rischia di frapporre ulteriori ostacoli o pretesti, mentre nessuno, tra i potenti, si decide a denunciare il problema principale su questo cammino, e cioè l’arsenale nucleare di Israele!

In sede Onu è stato sottolineato come, per rendere vincolanti le decisioni future, occorre rendere più vincolanti le restrizioni sulle esportazioni nucleari: Obama ha promesso (?) in tempi brevi un trattato di sospensione della produzione di materiali fissili (Fmct), su cui i negoziati stagnano da tempo, ma non si può mancare di ricordare il perfido accordo di scambio di tecnologie nucleari con l’India voluto da Bush, che ha avallato lo status nucleare di un paese al di fuori del Tnp.

Nel pomeriggio (sera da noi) vi è stata anche una conferenza sul Trattato di bando totale dei test nucleari (Ctbt): gli Usa avevano bocciato la ratifica nel 1999, vediamo che impegni prenderanno. Una nota positiva è che Obama, per quanto riguarda gli Usa, ha rifiutato un primo draft della nuova Nuclear Posture Review, chiedendo di includere opzioni più restrittive: riduzione dell’arsenale a centinaia piuttosto che migliaia di testate, restrizioni delle condizioni per l’uso delle armi nucleari, ma anche la ricerca di metodi atti a garantire l’affidabilità delle testate senza ricorrere ai test.

Non si può mancare di sottolineare in primo luogo come il mantenimento dell’affidabilità dell’arsenale nel futuro appaia in contrasto con la volontà di eliminarlo, mentre i metodi sviluppati a tale scopo consentono anche la progettazione di armi nucleari nuove (del resto è entrata in funzione pochi mesi fa, al Lawrence Livermore National Laboratory, la National Ignition Facility, gigantesco impianto militare dotato di 192 super-laser per testare la fusione nucleare).

Il cammino comunque si prospetta lungo e irto di ostacoli, trabocchetti e imprevisti. Un test cruciale sarà la prossima Conferenza di Revisione del Tnp nel 2010. È importante non farsi abbagliare da notizie a effetto, tipo “riduciamo a 1000 il numero delle testate per parte”: non perché questo non sia importante, ma perché rischia di mascherare, o mistificare i veri problemi e rischi di fondo.

In primo luogo ci vorranno impegni per le quasi 1000 testate delle altre potenze nucleari (Israele in primis!). E poi bisogna sempre ricordare che, se le testate strategiche operative di Usa e Russia sono oggi circa 5000 (2.800 Russia, 2.100 Usa; più circa 2500 testate tattiche, di cui per ora non si parla, ma che porta il numero a più di 8.000), rimangono ancora circa 15.000 testate non operative ma non smantellate!

Fino ad oggi le riduzioni sono avvenute più sulla carta che in termini reali, perché negli Usa hanno trasferito la proprietà delle testate dal Dipartimento della Difesa a quello dell’Energia, lasciandone la maggior parte nelle basi in cui erano perché il secondo non ha la capacità di immagazzinarle.

Mentre la capacità di smantellamento è ridotta a poche centinaia all’anno (e ancor meno in Russia), perché l’attività principale della Pantex Plant è l’estensione della vita operativa delle testate: che non suona propriamente come una volontà di disarmo! Ma, soprattutto, più che il numero conta il loro stato operativo, perché ancora oggi un migliaio di testate per parte sono in stato di allerta, pronte al lancio su allarme, puntate su obiettivi strategici dell’«avversario»: con enormi rischi di scatenare la guerra nucleare per errore.

Molti esperti sostengono giustamente che un provvedimento molto più efficace, e immediato, per allontanare il rischio di guerra nucleare consisterebbe nel “de-allertare” le testate, separandone le parti in modo che occorrano giorni o settimane per riportarle allo stato operativo. Più di 20.000 testate sono ormai inutili e anacronistiche: forti riduzioni sono nell’ordine delle cose.

Il pericolo è che esse potrebbero non corrispondere a un vero passo verso il disarmo, perché potrebbero invece portare ad una razionalizzazione e potenziamento del sistema militare, con un numero minore di testate integrate con sistemi di difesa antimissile a molti strati e armi basate nello spazio.

A questo proposito si deve osservare che è sicuramente positiva la recente decisione di Obama di rinunciare a schierare difese antimissile in Repubblica Ceca e in Polonia, ma che difficilmente egli potrà, o vorrà, fare marcia indietro sull’intero progetto (e i colossali interessi del sistema militare-industriale): progetto che è composto appunto da una decina di progetti diversi di difese – strategiche, di teatro, basate in terra, in mare, su aerei, ecc. – che configura un colossale sistema a molti strati (multi-layered).

Si tratta di un salto nel sistema militare paragonabile a quello che avvenne con l’introduzione dei missili balistici intercontinentali al posto dei bombardieri strategici. Almeno per il momento non sembra proprio prospettarsi un mondo di pace In definitiva, ben vengano gli impegni, sia pure verbali, delle potenze nucleari in sede Onu, ma i veri passi avanti avverranno solo con scelte concrete, e soprattutto trasparenti.

Non si dimentichi che dal 2005 l’autorevole Bulletin of the Atomic Scientists ha spostato in avanti le lancette del suo Atomic Clock a soli 5 minuti dalla fatidica “Mezzanotte” dell’olocausto nucleare! E in occasione delle oscure vicende recenti della nave russa Arctic Sea, che sicuramente trafficava materiale nucleare militare, sul Bulletin sono apparse proposte di spostare ancora in avanti le lancette!

Pressenza IPA

090926 Angelo Baracca


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