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Chomsky: lo scudo spaziale è un'arma di attacco

Iraq, quelle scarpe che danno la misura della sconfitta di Bush

26.12.2008 - Pagine di Difesa

Sono ancora vive nella mente le immagini della statua del dittatore iracheno, Saddam Hussein, che nell'aprile del 2003, con un cappio al collo, prima vacilla per poi piegarsi definitivamente. In quel preciso momento, si pensava e si sperava che la guerra fosse terminata. Ci s'immaginava che l'Iraq potesse essere gestito dalle mani esperte degli americani e, cosa più importante, che il Paese fosse pronto a una democrazia simile a quelle occidentali.

Non era così. I giorni che sono seguiti hanno dimostrato alla comunità internazionale qualcosa di differente. Il Paese è infatti crollato in un caos totale. La guerra non è terminata ma proseguita in una forma differente, i soldati della coalizione dei volenterosi hanno cominciato a morire quotidianamente e la popolazione non ha usufruito del benessere materiale tanto atteso con la fine della dittatura. Gli iracheni hanno cominciato a vivere un nuovo e lungo periodo di terrore.

Oggi molte cose sono cambiate. Un tribunale iracheno ha messo definitivamente da parte Saddam Hussein e il presidente americano, George W. Bush sta per finire il secondo mandato politico e si appresta a cedere il testimone al suo successore, Barack Obama. Così procede la Storia, con un susseguirsi inesorabile di eventi, giusti o sbagliati, comprensibili o meno. Ma, i dissapori che gli uomini suscitano con le loro azioni, non si alternano in modo altrettanto uguale agli eventi. I malumori non sono lineari e finiscono per accumularsi l'uno sull'altro, sommandosi nel tempo.

Sulla scia di queste affermazioni, si comprendono le motivazioni che sono alla base di gesti apparentemente incomprensibili e apparentemente senza significato. E così, anche l'occasione dell'ultimo saluto da parte di Bush ai soldati schierati sul terreno, può risvegliare sentimenti di astio. Il lancio di un paio di scarpe, non sono un gesto di un pazzo ma di chi vuole manifestare tutto il suo sdegno a qualcuno. Chi l'avrebbe mai pensato. In barba a ogni misura di sicurezza, il lancio di un paio di scarpe, per manifestare la propria rabbia.

Un gesto simbolico che non avrebbe mai potuto causare grandi danni ma, che comunque, è carico di significato. Non ci sono onori, infatti, da rendere a un presidente che ha incominciato una guerra che ha squalificato in campo internazionale gli Stati Uniti. Una guerra che ha diviso l'Occidente. Una guerra che ha rotto gli schemi del diritto internazionale, di cui la potenza americana era il baluardo, che ha fatto migliaia di vittime, che non ha dato agli iraqueni quanto desideravano, ovvero, un Paese normale e libero.

Forse il giornalista, Muntadar al-Zeidi, della tv Al Baghdadia ha voluto rilevare tutto il suo disappunto lanciando le proprie scarpe a Bush. Quest'ultimo, arrivato in grande segreto in Iraq, doveva dare l'ultimo formale saluto ai soldati e, cosa più importante, ratificare il trattato bilaterale di sicurezza. Ovvero, un patto definito dallo stesso presidente quale "un promemoria per la nostra amicizia e un mezzo per aiutare gli iracheni a realizzare una società libera". Il trattato prevede, in sintesi, il ritiro dei 146mila soldati americani entro la fine del 2011. Un grande passo in avanti per il Paese iraqueno. Il secondo step positivo dopo la positiva applicazione della dottrina del surge del generale Petraeus.

Nonostante ciò, la presenza di Bush è cosa scomoda e sgradita a molti. Il presidente, che tra poco meno di 40 giorni sarà rimpiazzato alla Casa Bianca da Barack Obama, durante la conferenza stampa ha comunque ricordato che nonostante i successi "la guerra non è finita" e come "ci sia ancora molto lavoro da fare".

La guerra del marzo 2003 è stata "necessaria per la sicurezza americana, e per le speranze degli iracheni e la pace nel mondo". Poi, gli importanti progressi compiuti sul fronte della sicurezza, hanno permesso la firma del trattato che solo pochi anni fa "sembrava impossibile". Ora invece s'intravede "la speranza negli occhi dei giovani iracheni. Questo è il futuro per cui stiamo combattendo". Il premier al Maliki ha poi ribadito che "oggi l'Iraq sta facendo progressi su tutti i fronti".

Barack Obama, ha fatto del ritiro delle truppe Usa dall'Iraq una delle priorità politiche della prossima amministrazione, avrà molto lavoro da compiere. Anche perché, oltre ogni intento e tralasciando ogni linea politica, è necessario ricordare che la sicurezza in Iraq è ancora molto fragile. A dire il vero, nelle ultime settimane si è registrato il livello più basso di violenza dall'invasione del 2003 ma, un attacco suicida a Kirkuk, con un seguito di circa 50 morti, ha fatto impennare immediatamente i dati e smentire il trend positivo. Gli iracheni sono pronti a gestire da soli la sicurezza del Paese? Sono in molti a dubitarne ma intanto la linea strategica sembra preferire la via del disimpegno americano.

Nel Paese iraqueno sono stati molti gli errori compiuti. Nel momento in cui è entrato in carica il nuovo governo iracheno, nel giugno 2004, nessun servizio pubblico era tornato ai livelli precedenti l'inizio della guerra. Tra il 2007 e il 2008, la produzione di energia elettrica ha superato solo del 10% quella del regime di Saddam Hussein. La produzione petrolifera, invece, è sempre stata inferiore rispetto al periodo di Saddam Hussein. Durante la dittatura almeno la popolazione non era costretta a barattare al mercato nero il petrolio per le proprie automobili, quello in circolazione era abbondante.

Solo in termini di decessi e di spese, secondo le stime ufficiali, il costo per gli Stati Uniti è stato altissimo. Più di quattromila morti e circa 576 miliardi di dollari spesi dall'inizio della guerra. Le truppe sul terreno sono 146mila e costano moltissimo in termini economici e umani. Molti dei militari che ritornano alle loro case dall'Iraq presentano seri problemi mentali. La popolazione irachena non se la passa meglio. I decessi di civili sono stati moltissimi. Si stimano addirittura in centomila, i feriti in circa 600mila. I poliziotti e miliari iracheni uccisi ammontano a quasi novemila unità.

Gli indicatori della qualità della vita non sono migliori. I rifugiati iracheni in Siria e Giordania ammontano a circa due milioni e mezzo. Il numero dei disoccupati varia tra una percentuale che va dal 27% al 60% della popolazione attiva, l'inflazione è alle stelle e il numero di bambini che soffre di malnutrizione ammonta al 30% del totale dei nati. In molte case sono assicurate solo due ore di elettricità al giorno. La percezione della presenza dei militari stranieri è negativa per 82% della popolazione. Al contempo solo 1% della gente pensa che gli americani siano responsabili del miglioramento delle condizioni della vita in Iraq. Il 67% della gente si sente meno sicuro dall'inizio della guerra.

Questi pochi dati danno la misura della sconfitta americana. Una guerra illegale, ovvero non approvata dalla comunità internazionale, rimane sempre illegale anche se, apparentemente, porta a dei successi desiderabili. La guerra in Iraq non ha portato nemmeno questi. E' stata un evento tremendo e basta. Gli americani hanno tolto di mezzo le barbarie di una dittatura tremenda, confermata da fosse comuni, da celle di tortura, da mille drammatiche testimonianze ma, hanno agito sbagliando molto e pensando poco. Gli eventi l'hanno confermato.

Il giorno 15 dicembre a Bagdad centinaia di persone sono scese in piazza a protestare per la scarcerazione del giornalista, Muntadar al-Zeidi, il responsabile del lancio delle scarpe. A vedere la gente in piazza viene da pensare a quanti avrebbero voluto essere al posto del giornalista durante la conferenza stampa.

http://www.paginedidifesa.it/2008/carniel_081217.html


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