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Chomsky: lo scudo spaziale è un'arma di attacco

Implosione nell’Impero

6.11.2008 - di Guillermo Sullings

In questi periodi stiamo assistendo all’aggravarsi di una enorme crisi finanziaria, con epicentro negli Stati Uniti ma con conseguenze in tutto il mondo. Questa crisi, esplosa la scorsa estate, era già iniziata nel 2006 e le sue radici sono ancora precedenti. Potremmo sicuramente dire che la “terra fertile” per lo sviluppo di tali radici, è stata arata da decenni.

Nel libro “Economia Mista” (2000), descrivevo “la trappola del credito”, il fenomeno con cui si stimolano le persone ad anticipare i consumi indebitandosi. In un primo momento il livello del consumo si incrementa (perché le persone spendono l’equivalente di quello che guadagnano, più i debiti), ma in un secondo momento i consumi diminuiscono perché i debiti (più gli interessi, che nel caso del credito a lungo tempo, possono arrivare a duplicare il valore di ciò che si è acquistato) costringono a ridurre le spese regolari, per poter far fronte ai debiti contratti.

Da una parte si trasferiscono così le “entrate” dall’economia produttiva alla Banca e dall’altra si generano cicli di successiva espansione e contrazione nell’economia. Questo perché, quando si espande il credito, il maggior consumo genera una crescita dell’economia reale, (e quindi aumentando gli stipendi si creano le condizioni per affrontare spese e debiti), dopo però, essendo il ritmo di crescita reale sempre minore rispetto alla crescita del credito, si generano le famose “bolle”, che inevitabilmente scoppiano.

Sempre in “Economia Mista”, anticipai che il livello critico di indebitamento della società statunitense avrebbe, in qualche momento, raggiunto il limite, producendo un’ esplosione. Anche se tutto indica che questo momento si stia avvicinando, non è semplice stimare i tempi di processi. Sulla crisi Argentina del 1998 anticipando il crollo della convertibilità della moneta, riuscimmo a realizzare un’analisi su una economia molto più piccola, più semplice e limitata ad un solo paese.

L’economia degli Stati Uniti invece, oltre ad essere enormemente più grande e complessa, ha “esportato” i suoi problemi e si dovrebbe avere accesso ad una enorme quantità di informazioni da tutto il mondo, per poter fare previsioni più precise. Però non ci sono dubbi: la tendenza è che la crisi è ogni volta più profonda. Prima di analizzare il detonatore dell’attuale crisi, bisogna capire come funziona la società statunitense nel nei confronti del credito, del consumo e dell’investimento speculativo.

In questo paese esiste una cultura molto radicata rispetto all’uso dell’indebitamento per salire nella scala sociale (ed esprimerlo mediante il consumo). Inoltre chi ha capacità di risparmio, ha una cultura molto diffusa per l’investimento azionario,i fondi di investimento e tutta una serie di complessi strumenti finanziari, che altrove la gente comune non capisce.

Negli Stati Uniti la maggior parte della popolazione si indebita per comprare elettrodomestici, auto e case e quando termina di pagarli si indebita di nuovo per rinnovarli. Anche gli studenti universitari si indebitano per pagare i loro studi. E’ una società indebitata al punto tale che nel momento attuale il livello di indebitamento medio delle casalinghe, è del 120% del loro reddito annuo; in pratica se i cittadini statunitensi potessero stare un anno senza spendere un dollaro neanche per mangiare, dovrebbero ugualmente lavorare tutto l’anno e qualche mese in più per pagare tutto il debito accumulato.

Il 75% di questi debiti corrispondono ai mutui, i detonanti dell’attuale crisi. Però questo livello di indebitamento dei cittadini statunitensi, non è solamente interno (tra di loro), ma va fuori sia per l’enorme deficit che ha questo paese tanto nella bilancia commerciale, come nella bilancia dei pagamenti, visto che è il governo più indebitato del pianeta. Cina e Giappone accumulano titoli del debito statunitense di un valore quasi di 2 miliardi di dollari, grazie al loro surplus commerciale con quel paese.

Gli antecedenti della crisi attuale

In questo contesto di indebitamento crescente e creazione di bolle speculative comincia a crescere la bolla immobiliare tra il 2002 e il 2005. In quegli anni la Federal Reserve aveva abbassato i tassi per attivare l’economia, dopo l’impatto recessivo degli attentati dell’11 settembre. Le banche quindi potevano indebitarsi per il 2% (su base annua) e fare prestiti per l’8% a chi voleva comprare o costruire una casa.

Era davvero un grande affare, però la voraci banche non si accontentavano; per attirare ancora più clienti ad accendere mutui, ammorbidirono le loro regole e i loro controlli e concessero prestiti a persone con scarse garanzie di capacità di restituzione (ipoteche “subprime”) e fu l’auge dell’affare immobiliare, che fece salire a dismisura il prezzo delle proprietà. Però a loro volta per poter prestare sempre più soldi a sempre più clienti, le banche avevano bisogno di ulteriori fondi che drenarono dal mercato finanziario offrendo in garanzia le stesse ipoteche che avevano nelle cartelle dei loro clienti.

Così le ipoteche sulle case si trasformarono in supporti di tutta una complessa trama di strumenti finanziari che arrivarono a far parte dei fondi delle banche europee.  Milioni di risparmiatori, attraverso banche, fondi di investimento e imprese quotate in borsa hanno finanziato la crescita della bolla, la maggior parte delle volte senza sapere quali fossero le garanzie finali dei loro investimenti. Tutto questo d’accordo con la agenzie di rating che si sono tanto impegnate a squalificare le economie emergenti e mai si sono occupate di avvertire i risparmiatori sul rischio di questi irrazionali strumenti di credito del primo mondo. È stato tutto un gran bell’affare finché il valore delle proprietà saliva e a seguire la ruota degli indebitamenti e dei pagamenti delle rate. Però come tutte le bolle un bel giorno è scoppiata.

La Federal Reserve cominciò ad aumentare i tassi fino a superare il 5% per contenere l’inflazione e così le banche aumentarono anche loro i tassi dei mutui già aggiudicati (quelli a tasso variabile). Molti proprietari che non erano molto solvibili, iniziarono ad entrare in mora: con l’aumento dei tassi le more si moltiplicarono e già nel 2006 si ebbero 1.200.000 esecuzioni ipotecarie.

Il valore delle proprietà, che era arrivato a dei livelli irrazionali, iniziò a sgonfiarsi, prima per la logica dei valori relativi. Però questo sgonfiamento si accelerò ulteriormente quando molti proprietari misero in vendita le loro case perché non potevano pagare le rate del mutuo. Questo calo del valore degli immobili fece sì che molti proprietari si trovassero con la banca un debito maggiore del valore della loro casa, con il quale l’avevano messa in vendita, valore che a sua volta condizionato dalle vendite, continuò ad abbassarsi.

Al giorno di oggi si stima che più di 5.000.000 di famiglie abbiano in vendita la loro casa perché non possono pagare l’ipoteca e ce ne sono altre 2.000.000 che stanno per perderla in una esecuzione ipotecaria. Quando scoppiò la crisi nell’agosto del 2007, si stimava che avevano morosità accumulate più di 500.000 milioni di dollari nel mercato delle ipoteche. Era però molto maggiore la perdita del valore dei titoli e delle azioni vincolati ai cosiddetti “mutui subprime” (ipoteche spazzatura).

In altre parole, molte delle banche vincolate in affari immobiliari non poterono affrontare i loro debiti perché evaporarono i loro attivi, supportati da mutui non solvibili e svalutati. In questa complessa trama finanziaria, l’effetto domino iniziò a portare al fallimento di molti istituti relazionati in qualche modo con questi strumenti finanziari: i casi più risonanti furono Freddie Mac, Fannie Mae, Bearns Stearns, e più recentemente Lehman Brothers e AIG.

Complessivamente un centinaio di entità danneggiate in USA più alcune in Europa. Questo effetto domino ha già un anno e ancora non è arrivato alla sua fine. Il governo degli Stati Uniti e la Federal Reserve continuano ad iniettare migliaia di milioni di dollari per contenere il terremoto, però non è sufficiente e la crisi dei mutui ha contaminato tutti i mercati finanziari.

I finanziatori tolgono il denaro dalle banche e dai fondi di investimento per panico e sfiducia e con questa azione debilitano ancora più il sistema finanziario. Gli intestatari di buoni o di azioni cercano di venderli per avere contanti perché prevedono una loro maggiore svalutazione e nel farlo generano ulteriore perdita di valore. Cioè, si sta passando dalla dimensione ipotecaria (di per sé enorme), all’avverarsi della profezia di una corrida bancaria e di borsa che genera fallimenti a catena. Questo il problema che stanno affrontando gli Stati Uniti oggi.

Fino a dove arriverà la crisi?

È molto difficile sapere quando si toccherà il fondo. In primo luogo perché non si sa bene fin dove è arrivata la contaminazione degli strumenti finanziari supportati con i “mutui subprime”, data la complessità di tali strumenti. In secondo luogo perché assume importanza il fattore psicologico della sfiducia dei risparmiatori, molto più difficile da misurare e prevenire, che continuerà a ripercuotersi nell’economia reale, fondamentalmente attraverso la restrizione del credito per gli investimenti e il consumo e attraverso la perdita di capacità di spendere della popolazione, accentuando così la spirale recessiva.

In terzo luogo, perché la interdipendenza tra l’economia del mondo con quella degli Stati Uniti, apre una ventaglio di molteplici conseguenze che si andranno retroalimentando. L’economia degli Stati Uniti rappresenta il 25% dell’economia mondiale ed è sommamente interconnessa con quella della Cina, del Giappone e dell’Europa: implica che più del 50% dell’economia mondiale è direttamente danneggiato dalla crisi.

Quindi praticamente nessun paese può considerarsi al riparo dalle conseguenze, anche se indirettamente ed in differenti gradi. Una recessione economica degli Stati Uniti significa una forte diminuzione dei consumi dei prodotti fabbricati in Cina e Giappone, di cui è il principale consumatore.

Un rallentamento nell’economia cinese conseguente alla diminuzione delle esportazioni, implicherà meno importazione di materie prime. La sfiducia verso gli investimenti a maggior tasso di rischio danneggerà il flusso degli investimenti nei paesi emergenti. Però in quale profondità e per quanto tempo si darà questo è impossibile prevederlo.

Il governo degli Stati Uniti, contraddicendo i propri “principi” di ortodossa neoliberista, lasciando che i mercati si autoregolino lasciando fallire chi deve fallire e sopravvivere chi deve sopravvivere, sta facendo un appello (antidottrinario secondo le logiche neoliberiste) a risorse, iniettando migliaia di milioni di dollari nel barile senza fondo della crisi finanziaria. Se lo continuerà a fare, forse eviterà l’Apocalisse di un nuovo crack (potenzialmente maggiore di quello del 1929), però a costo di portare il suo indebitamento come Stato a dei limiti inimmaginabili. Ma più in là della poca o maggiore spettacolarità che potrebbe avere la caduta, quello che è sicuro è una recessione e un indebolimento prolungato della maggiore economia del mondo.

Conclusioni

In definitiva, questa crisi del capitalismo e della globalizzazione, dimostrano una volta in più che la speculazione finanziaria nel mondo va bloccata, forzando il reinvestimento produttivo dei guadagni imprenditoriali.

Il mondo non può essere governato dalla tirannia del capitale speculativo, che genera povertà e caos dovunque. Il mondo deve avanzare verso una Nazione Umana Universale, nella quale i popoli, attraverso la democrazia diretta, trovino una soluzione al fatto che le immense risorse che oggi si destinano alla speculazione finanziaria, all’usura e agli armamenti, vadano invece a contribuire allo sviluppo umano e che facciano terminare la povertà.

In questo senso ci sarà da stare attenti perché questa implosione finanziaria sta certamente debilitando il cuore dell’impero, ma questo, come una belva ferita, al fine di riconquistare il potere, può pretendere di ricorrere alla forza bruta, più di quanto non abbia fatto finora.

http://www.guillermosullings.org/blogs/index.php

http://www.umanista.org/06102008/implosione-nellimpero/

 


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